Poemas inéditos de Canio Mancuso del libro L'intellettuale da asporto
Nitidezza Per Domenico e Incoronata
La foto dove splende di più la dimenticanza non conserva il volto o il rossore o la piega indenne dell’acconciatura solo le frasi nell’intercapedine: “Sono, sono stato” e il dettaglio: gli zigomi che bruciano, le scintille dei tacchi sulla pista da ballo (chi sbagliava le note? chi ha buttato le scarpe?) e i nomi che si spezzano e quelli che resistono avvolti in un gomitolo, disegnano il tuo volto raschiato dall’immagine tu disperso nel click scivolato dal bordo dei nomi ancora in luce.
Il riciclo secondo lo spazzino
I testi sono chiari: nello stesso inventario l'anima e il congegno l'organismo e il meccanismo che si arresta le labbra e il boccaglio il mantice gli oggetti in disuso allineati in un addio allegro. Sei tu che parti loro si allontanano dalla tua ombra che unisce le sagome: confondi il sangue con l'olio dell'ingranaggio il cuore fermo sui minuti con l'orologio l'odore delle calze e i piedi che le svuotano. Hanno occhi gli oggetti che ti dimenticano sono oggetti i volti che si rapprendono in una luce sabbiosa nei ritratti - vizi di forma smessi con i vestiti le inadempienze scordate nella ressa degli strumenti alla fine del gioco allineati per salutare un altro con lo stessa sciatteria delle persone e con l'aria smarrita delle cose.
Tu, lo spettatore
Affondare gli occhi in ciò che guardi gli occhi come dita nella polpa dei volti e delle camicie di chi passa e non guarda. È questo il tuo talento: guardi, smorzi il battito sotto le coperte perché la stanza non veda e il paesaggio non sospetti che tu esisti chiuso tra le palpebre. Lo senti il sangue non circola le vene si aggrovigliano eppure guardi ancora nel poco d'aria che sfreghi con il corpo guardi nella fessura indovini il varco. Il mondo si stringe nelle tue pupille: la linea del pianerottolo confina con lo strapiombo, tre vasi di fiori finti (è questa l'Amazzonia?) i pesci nuotano nell'ascensore - il paesaggio pressato in una scatola - il varco che si apre il battito che si ferma, tu non gli credi: riconosci il mondo che guarda e scompare prima di te.
Chaperon
La madre e il figlio conoscono il silenzio della strada che non ricordano, la casa lontana e più lontana la musica. La madre vestita da ragazza cammina davanti al figlio Orfeo grigio ammutolito con una canzone accartocciata in tasca (il refrain continua a sfuggirgli). Lei guarda il profilo del figlio la stempiatura che si fa strada sulla fronte e non incontra un'idea. Lui invecchia lei impara a morire lei ha fresco sotto la vestaglia lui suda nel cappotto al riparo nella sua nebbia, il figlio accovacciato su una sillaba la madre che trova da sola la casa la musica e la canzone.
Il piccolo maestro si giustifica
Se non ho gridato con voi lo sluagh-ghairm è stato solo per la timidezza della mia voce incastrata nella gola. Eppure il sole ci scaldava le vertebre il nemico non ci odiava abbastanza: le sue fionde di polvere i suoi sputi non ci avrebbero fatto male. Sarebbe bastato un soffio leggero nell'orecchio di uno di voi ma io stritolavo le parole in bocca. In testa alla fila ho avuto paura; sono tornato a passo di gambero fino alla coda per somigliarvi: perché mi avete riconosciuto? Ho finto di avere convinzioni più resistenti delle vostre: erano vostre e non lo sapevate. Rattoppo due frasi su amore e politica (siete così stanchi di ascoltarle). La mia vita si specchia nella vostra: ha la stessa calvizie le parole vive come cani impagliati. Le mie idee ladre le ho rubate a voi e voi mi chiedete cosa penso dell'arte di stare al mondo e fargli la guerra: penso tutto ciò che pensate voi ma non ho il diritto di confessarlo.
Addestramento sul lago
Ripetiamo i gesti delle anatre volate via da anni, il nostro sonno scivola sull’acqua spruzza le ortensie fino al nodo dei canneti - la luce acquosa che ci rassicura mentre affiniamo la voce il verso zitelle svizzere ci gettano molliche.
Dove si nascondono i cacciatori? Restate qui non andate via ci dicono - prendete voi il posto delle anatre.
I cartelli bisbigliano Attenti ma i cani scodinzolano nasando dai cancelli: mastini incrociati con orchidee rottweiler morbidi come camerieri invitano i ladri in giardino ma i ladri fanno la vita delle anatre.
Ah già le anatre - continuano a dirci. Dove sono i cacciatori? chiediamo.
La nostra è l’ignoranza che non conosce il tempo lungo dei cacciatori i loro sbadigli curvi nell’attesa la noia di chi ricorda quando era così bello uccidere. I vecchi cacciatori ci pregano di non muoverci toccano la nostra carne di anatre apprendiste sentono con le dita le nostre piume il becco noi anatre noi uomini immaginiamo ancora che spareranno ai cinghiali.
Disordine dell’oncologa
La vostra fede mi disturba scompiglia i passi di questo mio barcollare sui trampoli guardarmi i piedi per non guardare voi mentre tocco il soffitto mi incollo al muro e vi lancio biglietti: Guarirete non potete morire la domenica c'è la festa del Santo curandero. Ve lo dico ogni volta e cado a terra se inciampo nel filo teso di un'occhiata quando vi scorro accanto in corridoio perciò scusatemi ho fretta sentite il morso dell’orologio qui sul mio avambraccio l’odore stanco rappreso nel camice. A infastidirmi sono le vostre attese che con le dita mi lisciano la manica mentre cerco la porta e le domande che ignoro e le risposte che conosco eccole in cambio dei vostri regali (cento bottiglie e io non bevo il vino) le vostre attese gonfie obbedienti che maledico dal buio di un sorriso. Aspetto anch’io voi il vostro corpo raccolto nell’impronta della schiena voi che credete ancora al purgatorio e alle stazioni intermedie non disprezzate la mia fede solitaria io qui lavoro e prego insieme a voi dentro il silenzio in nome dei medici che come me non ricordano i nomi. Non preoccupatevi se cado di nuovo davanti alla porta nel ritaglio dell'ombra dove voi abitate e io mi nascondo.
Un maratoneta giapponese
È un corpo, il suo? un volto, o un confetto succhiato fino a un bolo di mandorla? un tronco, o uno stecco di liquirizia masticato e sputato? sono gambe quei legni galleggianti sull'asfalto? è una bocca quella bocca di pesce appiccicata al vetro dell'acquario? Il suo corpo - tronco, gambe e bocca - inseguito dalla fine che non finisce strizzato dall'agonia che non uccide dalla fatica che non vorrebbe premiare, il suo corpo così ostile agli applausi e alle grida di tutti noi intorno a lui che speriamo che cada prima del traguardo e si sciolga nell'aria, noi che lo odiamo perché ha coraggio lui più feroce del suo corpo sfasciato col suo corpo arriva davanti agli avversari perché ha vinto la gara e riceve la medaglia e ascolta l'inno di un paese lontano almeno quanto il suo e inghiotte la frase dello sconfitto: Dimenticatemi, io l'ho già fatto. | Canio Mancuso (Melfi, 1971). Cresciuto a San Severo, attualmente vive a Omegna. Nel 2004 fonda il mensile umoristico “Za!”. Dal 2005 al 2006 è redattore del periodico “Sguardi”. Ha scritto o scrive per i periodici “Fermenti”, “Le reti di Dedalus” e “Christianitas”, e per i quotidiani “L’Attacco”, “Capitanata.it” e “Zeroventiquattro.it”. È citato nel volume Letteratura del Novecento in Puglia (Progedit, Bari 2009 e 2010), a cura di Ettore Catalano. Alcune sue poesie sono apparse su antologie e riviste, tra cui: “Fermenti”, “Gradiva”, “Poliscritture”, “Poetarum Silva”, sulla rivista spagnola “Ómnibus” e sulla francese “Lichen”. Nel 2015, insieme a Raffaele Niro, cura l’antologia Sotto il più largo cielo del mondo. Trenta poeti dauni, numero speciale dei “Quaderni dell’Orsa” (Besa Editrice). Nel marzo 2016, ancora con Besa, pubblica la raccolta di poesie Fiammiferi, tradotta in francese e prossimamente in uscita con Hippocampe éditions. Nel 2018 pubblica Il lato destro dell’armadio (Giuliano Ladolfi Editore). Mail: canio_za@yahoo.it |
CREACIÓN >